giovedì 8 novembre 2007

VERONARCANA III

Il nuovo capitolo delle avventure di Cristiano Sepolcro, per la gioia di Marcito Corona e dei fan del mio esorcista e stregone veronese. Per le precedenti storie, clickate QUI.
Buona lettura, presto posterò un po' di report da Lucca.
Stay tuned.


I fantasmi all’Opera

© Alberto Corradi 2007

L’ombra era immensa.
Come nave in tempesta, il manto colossale era una vela sbrindellata dalla furia dei venti, il corpo carena logora da millenni di scogli, il petto una santabarbara d’odio.
L’orrore procedeva caracollando per i ciechi meandri dell’edificio.
Non buttava suoni, non produceva rumore.
La sua presenza macchiava come pece le mura, i contorni del corpo sfocati, nulla che si potesse dedurre se non una paura confezionata con cura certosina, qualcosa che non si vorrebbe mai fronteggiare.
A tratti, di sotto la caligine delle vesti baluginavano lunghi rasoi, cose che apparivano mani, poi dita e infine artigli, falangi lunghe fino a terra, aratri d’osso che raschiavano di buio il suolo dell’anfiteatro.
Non le sentiva nessuno.
Le urla.
Ma lui sì. Lui sì.
Secoli di sangue e implorazioni, lacrime.
Uomini, donne, bambini.
Anche le bestie piangevano.
Cavalli, leoni, coccodrilli.
Tutti intonavano la sua litania, il suo carme.
Un’opera composta da sommessi respiri, rantoli disperati in attesa di quel lungo interminabile attimo che precede la Morte.
L’orrida presenza diafana percorreva le cavee e non si dava pace, sorda per i lamenti di chi morì in quel luogo d’orrore in cui ora alte brillavano le voci. Le voci argentee che trascoloravano il suo odio, che da nero lo portavano a una tonalità di rosso intenso, rosso come il liquido prezioso che iniettava di veleno il motore del suo essere disgregato, rosso come gli occhi della vendetta.
L’ombra percorse il circuito dell’Arena per l’ennesima volta, inseguendo i suoi passi furiosa.
Poco, ancora poco!

Il Maresciallo Trebaseleghe andava avanti e indietro nervoso, abbaiando qualche ordine ai suoi uomini che piantonavano gli ingressi, più interessati alle scollature delle dame che all’effettiva sicurezza del pubblico. In fin dei conti, era come al solito, la solita routine.
Era la Fine di Ottobre, la Notte già fatta. La grande cupola di legno, titanio e pelle sintetica foderata in neoprene chiudeva l’Arena permettendone il riscaldamento. Pareva ne esistesse una simile al tempo dei Romani… “Cosa avrebbe fatto certa gente per vedere un po’ di sangue”, si disse.
La folla si accalcava intorno alle cavee per entrare. La serata si preannunciava ghiotta, con il celebre tenore Simone Gastaldi che interpretava uno dei suoi cavalli di battaglia, Radames nell’Aida di Verdi. L’anziano militare si sentiva inquieto quella sera, ma era sempre inquieto la notte di Ognissanti. Accadeva di tutto a Verona tutti i giorni, ma quella notte tutto era sempre il meno da aspettarsi.
Trasalì per un attimo, scosso da una voce familiare che lo apostrofava.
“Ehi Trebaseleghe.”
Cristiano Sepolcro si presentò al vecchio amico sfoggiando un paio d’occhiali da sole a spoiler, le lenti nere al punto che non si scorgevano gli occhi dello stregone di sotto. Silvia era lì con lui, avvinghiata al suo uomo, il viso sottile sprofondato nella giacca di pelle di Sepolcro. Gli sorrideva dolcemente.
“Cos’è questa mascherata Cristiano, facciamo gli eccentrici?” Sogghignò il maresciallo.
“Magari. Non la vedi la luce, vero?” Teneva lo sguardo puntato sull’Arena.
“Lu… Luce?” Trebaseleghe s’era sentito morire il sorriso dentro, non era possibile, c’erano disgrazie d’ordine soprannaturale in arrivo. Si girò boccheggiando verso il monumento.
“E’ accecante. – Lo incalzò l’esorcista, medium e stregone. - Una colonna di luce che si innalza come un raggio, che sbianca la città tutta. Se non avessi questi occhiali morirei per lo shock. Credo.”
“Una colonna? Ma…”
“Fammi passare Francesco, dai l’ordine ai tuoi uomini.” Il maresciallo faceva quasi tenerezza nel suo attonito stupore. Cristiano non se ne rese conto. Qualcosa in lui quel giorno era diverso.
Mentre Cristiano ignorava l’anziano militare, l’altro osservava quasi commosso il giovane che, ancora bambino, aveva salvato dalle fiamme che lo stavano divorando. Gli si era precipitato così, tra le braccia, urlante. Il padre, convinto che il figlio fosse un demone, un indemoniato o vittima di una qualche assurda maledizione, aveva pensato di mondare col fuoco quella sciagura che portava dalla nascita sul corpo strani arabeschi, simili a tatuaggi.
Aveva afferrato il corpicino, avvolgendolo nella giacca e tenendolo fermo a terra con tutta la delicatezza possibile, mentre lo spegneva. L’aveva tenuto stretto a sé a lungo, un fagottino scosso dalle lacrime e dalla sofferenza, mentre i colleghi salivano a prelevare il disgraziato genitore. Ma quello aveva ben pensato di appendersi per il collo a una trave, convinto di essere riuscito a sterminare la sua progenie. Il bambino guarì presto, le ustioni sparirono, il bambino crebbe, e divenne uomo.
Un uomo che faceva rabbrividire, ma a cui era affezionato e che ora lo fissava di sotto le lenti.
“Ah, e vai a casa, mettiti in salvo. Forse qua scoppia tutto.”
“Scoppia? Co…” Troppo tardi, l’esorcista s’era infilato diritto immezzo alla folla, e già parlottava con uno degli appuntati a presidio di una cavea. Indicando vagamente in sua direzione, mentre l’altro fesso annuiva timoroso.
Trebaseleghe sospirò mesto, ammiccando di rimando al sottoposto, a conferma che tutto era a posto.

Cristiano irruppe nel camerino con poca della grazia che lo aveva sempre contraddistinto, mentre Silvia indugiava sulla porta, discreta come sempre.
“Simone Gastaldi?”
Il massiccio tenore addobbato come un antico egizio smise di contemplare nello specchio il proprio volto pesantemente truccato, gli occhi imbellettati, i piccoli baffetti arricciati e ossigenati.
“Lei chi è? Un fan? La sicurezza cosa fa… è forse un amico del mio agente?” Sbottò in direzione del giovane di nero vestito.
“No. La lirica mi fa schifo. A parte Corelli. Ma sono qui per salvarle la vita, non certo a disquisire di librettistica o bel canto. A quello ci pensano gli invasati che brulicano sopra le nostre teste.”
“Lei chi sarebbe?”
“Un esorcista in occhiali da sole di sera tarda in un’area non autorizzata che parla con un pallone aerostatico sul punto di esplodere.”
I melomani si accalcavano nelle cavee dell’Arena. Sepolcro percepiva la loro eccitazione attraverso le pareti. E non solo quella.
“Come si permette! Come osa!” Squittì il tenore.
“Se non vuole morire faccia saltare la prima, qualcosa di orribile sta per accadere. A lei.”
“Se ne vada! Se ne vada!!!”
“Mi creda. Desista. Ora.”
“Fuori!!! Fuori!!!”
Cristiano se ne andò senza salutare.
Nessuno era accorso agli strilli concitati del tenore. Nessuno di umano.
L’ombra si parò loro innanzi appena misero piede fuori dal camerino. Immensa. Li sovrastava. Cristiano scostò da sé Silvia, che andò a rifugiarsi sotto un basso arco.
Il buio rivestiva l’Essere come un lungo mantello: era incredibilmente elegante per essere un Orrore di tali proporzioni. I contorni dell’ombra si agitavano spasmodici, in attesa di abbrancare l’inatteso visitatore. Lo stregone e il Fantasma si confrontarono per attimi interminabili, sotto lo sguardo attento di Silvia. Poi l’entità si allontanò strascicando il passo, con un gesto quasi di stizza.
Sepolcro trasse un lungo sospiro.

Cristiano si aggiustò gli occhiali uscendo all’aperto.
“Cristiano, perché ti sei comportato così? Hai fatto infuriare Gastaldi, hai lasciato andare il Fantasma, mi vuoi spiegare?” Silvia era sbigottita.
“Per convincerlo avrei potuto raccontargli di sua sorella, che credette morta durante la Guerra perché una bomba centrò il tetto della Scuola Elementare dove si era rifugiata con la tata di famiglia. Del come invece sia viva ma storpia, e abbia trascorso dieci anni in un istituto di igiene mentale in seguito allo shock subito per lo scoppio. Di come abbia urlato disperata, per ore, di sotto il peso opprimente del cadavere della donna, decapitato dallo spostamento d’aria.
Potrei tornare indietro, scusarmi per le pessime maniere e dirgli molte cose. Ma non gli dirò nulla.”
“Tu… sai davvero queste cose?”
“Prima di uscire di casa ho inghiottito un frammento di un testo sacro di un tempo remoto, scritto in lingua arcana in una città perduta e dal nome talmente antico e maligno che ti scoppierebbero i timpani solo a udirne il nome. Altro che le stecche di quel citrullo. Posso sapere ogni cosa di tutto, ancora per qualche minuto. Poi starò orribilmente per qualche giorno.”
Alle loro spalle, l’anfiteatro rimbombò del suono degli orchestrali, l’Opera andava a iniziare.
“Non farai nulla allora???”
“C’è gente venuta per uno spettacolo, là dentro. E avranno uno spettacolo. Indimenticabile.”
“Cristiano! Lascerai che venga fatto a pezzi un innocente davanti a una folla?”
Sepolcro si sfilò gli occhiali.
Le sue pupille erano color dell’oro, fredde come le nere sfere che roteano nell’occhio degli squali quando azzannano la preda. Senz’anima. Ciò che era nella pergamena antica ora era in Cristiano, lo possedeva. Apparentemente.
Silvia si riebbe presto dallo sgomento, stava per dire qualcosa quando Cristiano la precedette.
“Amore. So che non sembra, ma sono ancora io. Mi spiace, ma per fermare quella cosa, per placarla, si dovrebbe bruciare l’intera città e forse nemmeno allora sarebbe finita. Non è una sola cosa, è un’entità multipla. Nella sua ombra racchiude i morti nelle Naumachie romane, gli schiavi sbranati dalle fiere, le fiere stesse lasciate a morire di fame e malattia, i cavalli finiti con le gambe spezzate nei giochi e privati di un gesto di carità, eretici che i nostri concittadini secoli addietro fecero alla graticola per farsi togliere una scomunica e tanto, tanto ancora. E’ un condensato d’orrore. Non c’è verso di fermarlo. L’ho capito non appena ho percepito la presenza del Fantasma nel camerino di Gastaldi. E’ ovunque nell’anfiteatro. Mi addolora, ma è così. Mi sono fatto cacciare apposta. Sarà lui a saldare per stanotte il debito che la città ha con i morti che abitano l’Arena. Per salvarlo dovrei esorcizzarli uno per uno, e parlano infinite lingue. Sono centinaia.”
Gli occhi d’oro di Sepolcro presero a piangere. Un rivolo lungo e denso di lacrime spettrali, che trascinava con sé il tempo stesso. Un fiume in piena.
“Non è colpa di nessuno se hanno voluto inaugurare la nuova cupola proprio il giorno di Halloween. Ma questo giorno che si innesca di notte è dei morti, non dei vivi.”
Silvia teneva delicatamente tra le mani il volto di Cristiano. E annuì piano, sospirando.

Si allontanarono abbracciati, mentre i primi gorgheggi si aprivano sulla notte come i panneggi di un sipario si dispiegano innanzi a un pubblico bramoso.

3 commenti:

smoky man ha detto...

ciao caro,
nel nuovo post sul mio blog ti cito ;)

smoky cia'!

daphne ha detto...

arg!
si ero a lucca
Ma non credo di averti visto :(

Alberto Corradi ha detto...

@ smoky
Ciao caro, grazie!
Il tuo raid di aute patisserie sarda allo stand Black mi vibra ancora nelle papille gustative!

@ Daphne
Eh mi sa di no! Beccarmi com è facile, quello vestito di nero come uno scarafone allo stand Black Velvet, stand nero pece, inteso! :-) A presto! Un beso dal vampiro stanco.